Pensare l'inconscio a partire dal godimento

Intervento al VIII Convegno Nazionale SLP. Torino, 2010

Amelia Barbui

“Il bello sta nel fatto che negli anni a venire l’analista dipenderà dal reale….. Egli ha la missione di contrastarlo.” (J. Lacan, La terza, 1974)

 

In Analisi condotta da non medici – 1926 – Freud sostiene che l’analista ha nella cura due compiti ben distinti: il primo è la lotta contro le resistenze, che costituisce la parte principale del lavoro nella cura psicoanalitica; il secondo è l’interpretazione che rispetto al precedente è piccola cosa.

La bipartizione resistenza/interpretazione corrisponde a una analoga, illustrata nella lezione 28 della Introduzione alla psicoanalisi, in cui Freud precisa che la sola decifrazione dell’inconscio non basta per sciogliere i sintomi, ma occorre anche che l’analista mantenga nel transfert la posizione di oggetto libidico.

Questa ripartizione dei fattori in gioco nell’analisi ne rispecchia un’altra: quella subita dalla pulsione quando, nella nevrosi, viene rimossa. I due elementi della pulsione, rappresentazione e affetto, seguono destini diversi: la rappresentazione viene rimossa e va nell’inconscio, mentre l’affetto lo troviamo nella sede delle passioni, l’Es, nucleo irrappresentabile. Dopo tale processo l’affetto può collegarsi per falso nesso a rappresentazioni neutre, nel caso della nevrosi ossessiva, oppure può scaricarsi sul corpo, nel caso dell’isteria, dando luogo, in entrambi i casi, a un sintomo.

Essendo la rimozione pulsionale una forma di difesa, possiamo anche dire che la difesa, in ultima istanza, consiste nel tenere separati la rappresentazione rimossa e l’affetto e che per questo è un’espressione della pulsione.

Pertanto nell’analisi occorre – come dice Freud – non solo scoprire il senso dei sintomi, facendo affiorare tramite un lavoro di decifrazione le rappresentazioni pulsionali rimosse, ma anche scoprire la localizzazione della libido, ovvero gli oggetti a cui si è legata.

A questo secondo aspetto corrisponde la lotta contro le resistenze, che concerne dunque l’ammontare affettivo. Come precisa Miller – nella lezione del 19 marzo 2008 - la resistenza è ciò che Lacan, riscopre come godimento.

Sulla decifrazione dell’inconscio,  sull’analisi che inizia, sul dare risposta al: “Che cosa significa?”,  tutte le correnti di pensiero psicoanalitiche che hanno accettato la prima topica freudiana, si trovano d’accordo, anche se in base a concezioni diverse dell’inconscio. I problemi si pongono invece per quanto riguarda la lotta alle resistenze che riguarda l’interrogativo: “Che cosa soddisfa?”.

A questo proposito Lacan, nel ’54, è chiaro. La resistenza  ha valore solo in relazione al lavoro analitico. Qualcosa resiste solo perché facciamo pressione: la resistenza ci indica dunque il punto in cui si trova il soggetto, lo stato attuale delle sue interpretazioni, le sue difese: ha quel sintomo e non un altro, si difende dall’angoscia in quel modo e non in un altro.

La resistenza è un’ipotesi dell’analista e in quanto tale viene messa in gioco nel trattamento: è quell’astrazione che serve all’analista per avere il ritmo secondo il quale procedere nell’interpretazione del desiderio.

Indica che non possiamo avanzare più in fretta, che non possiamo dire niente su questa fissazione del godimento fuori senso. Corrisponde al tempo di rielaborazione di cui parla Freud, al tempo soggettivo.

Non possiamo forzare le difese che riguardano le particolarità del carattere di ciascuno, il suo modo di godimento, che sono insite alla natura del soggetto, che rispecchiano il modo in cui il soggetto ha risposto all’angoscia, alla presenza dell’oggetto.

I meccanismi di difesa non ostacolano l’analisi anche se – come precisa Freud - assorbono grossa parte del lavoro di analisi.

Freud non parla mai di analisi o interpretazione delle resistenze o delle difese, in quanto esse sono espressioni di un’inerzia psichica, di un nucleo irrappresentabile, non decifrabile, e - nella seduta della società di Vienna del 14 maggio 1913 - precisa come occorra prendere di sorpresa il soggetto, aggirare le difese, non interpretarle, in quanto ciò produrrebbe resistenza. Critica inoltre l’interpretazione ostensiva: l’ “E’ questo che tu vuoi”, che parte dal proprio sapere, o da un sapere universale, senza tenere conto del nucleo di godimento proprio del soggetto. Così facendo, infatti, non si mette in gioco l’allusione riguardo alla scelta oggettuale espressa a livello simbolico, attraverso l’equivoco significante. Ciò produce o resistenza o consenso, come altra forma di resistenza, un sapere senza verità che incolla/chiude il soggetto in un godimento di cui l’Altro sa. E’ questa la risposta di Reich alle resistenze, che ponendosi come soggetto supposto sapere sul godimento, fornisce al soggetto un “oggetto universale” di godimento che ben si sposa con la concezione di una pulsione sessuale totalizzante, come soluzione alle nevrosi, dove viene privilegiato l’aspetto del sintomo come sostituto di un soddisfacimento sessuale. Il “tu devi godere”, come d’altra parte il “tu devi ricordare” nell’ipnosi, mira a un godimento, o a un sapere universale, che espropria il soggetto da ciò che è il suo particolare godere, dal peculiare soddisfacimento della pulsione.

Nel seminario sulla logica del fantasma – 66-67 -  Lacan applicando la struttura del gruppo di Klein modificata – ne considera solo metà, escludendo l’operazione d’involuzione – al cogito psicoanalitico – all’unione tra “non penso” e “non sono” – pone in evidenza l’articolazione, la bipartizione, tra inconscio ed Es.

Le tre operazioni in funzione nel gruppo sono quella di alienazione – seconda scelta forzata  che porta verso il “non penso”: “Non penso per essere”, statuto normale del soggetto moderno , come precisa Lacan, coordinato con la lunula dell’Es, di un “c’è” silenzioso resistente alla semantizzazione, un punto di arresto del discorso che silenziosamente gode: “Sono dove non penso”. L’altro corno dell’alternativa, escluso dalla scelta forzata, l’opzione rimossa, è il “non sono”. Solo l’operazione di verità, resa possibile dalla psicoanalisi, può ricondurre al: “Penso dove non sono”, statuto delle formazioni dell’inconscio alla cui verità non c’è accesso diretto. Il “non sono” è coordinato con la lunula dell’inconscio, e precisamente con le rappresentazioni di cosa. Terza operazione, la risultante – nel senso del calcolo vettoriale - delle due precedenti, è il transfert, la diagonale che conduce a -f ed a, che contrassegna il termine dell’analisi. I due poli, inconscio ed Es, residui delle operazioni di verità e di alienazione, vengono “trattati” diversamente nell’interpretazione: il primo con la decifrazione – e in questo caso l’inconscio si sovrappone al “non penso”, rivelandone l’impensabile, ossia l’insufficienza radicale del pensiero rispetto al sesso – il cui esito è –f,  il secondo con l’atto psicoanalitico – dove l’Es si sovrappone al “non sono” -  il cui esito è il: “Non sono che questo”, l’oggetto a, in cui il soggetto si riconosce come non-io. All’atto psicoanalitico Lacan dedicherà il seminario successivo.

Voglio solo ricordare che l’atto riguarda il significante: è il doppio giro della ripetizione che viene presa in un solo colpo con il taglio sul nastro di Moebius, è il solo luogo in cui il significante funziona al di fuori delle proprie possibilità cedendo rispetto alla funzione di rimando e presentando se stesso. La virtù per cui l’atto può toccare il referente, l’oggetto a, marcato dal significante non è né la sua estraneità al dire, né che invece di dire faccia, ma che l’atto è ciò che vuol dire, e in quanto tale è omogeneo all’essere fuori significato dell’oggetto a. L’atto psicoanalitico, dove la ripetizione viene costretta a compiersi, pone il soggetto nelle condizioni di equivalere al proprio significante: il significante si ripete in un sol gesto essendo ciò che vuol dire; è una tautologia del singolare. E’ toccato qui il reale del soggetto che è rappresentato come divisione pura e non più la sua rappresentazione, pur essendo, in questo seminario, l’oggetto a ancora considerato come un elemento di godimento pensato a partire dall’inconscio, a partire dal sapere.

Si tratta, dice Miller – riferendosi all’ultimo Lacan dei nodi, del Sinthomo, della bipartizione linguaggio/lalangue, formazioni dell’inconscio/eventi di corpo, comunicazione/soddisfacimento, desiderio/godimento – bipartizioni che dobbiamo leggere come gli estremi opposti di una curva di Gauss sulla cui campana di “più o meno” si presenta il reale delle cose umane - di liberare il godimento dall’oggetto a.

Ora, il primato dell’oggetto e del godimento, sull’ideale e la rimozione, ci chiama – per contrastare il reale - a pensare l’inconscio a partire dal godimento, possiamo dire dall’Es, da una posizione femminile, non-tutta, dove è messa in discussione la legge universale che necessita un unico principio organizzatore, ma dove l’amore è necessario per godere. La reiterazione dei “non”, da lato femminile – non-limite, non determinazione, non localizzazione, non misura …. –  “non” che non indicano una carenza rispetto a un tutto da riaffermare - sono indice di uno spostamento concettuale che può dirsi solo negando i fondamenti del discorso consolidato, prima di aprire a un rovesciamento che sul piano logico possiamo individuare nella logica fuzzy, negli insiemi dai contorni sfumati, o nel paradigma dell’indeterminazione del pensiero approssimativo.

A partire dalla negazione del cogito cartesiano, il “non penso per essere” in cui Lacan riconosce lo statuto del soggetto moderno, coordinato con l’Es, messo in tensione nel transfert con le formazioni dell’inconscio è, a mio avviso, il mathema verso cui mantenere la nostra rotta, dal momento in cui siamo “condannati al pensiero approssimativo”. Come ci ricorda Miller, l’orientamento verso il singolare non vuol dire che non si decifri più l’inconscio.