UN REALE PER IL XXI SECOLO – Introduzione del tema del IX Congresso dell’AMP

Serata organizzata dall’SLP - Milano 2014 

Amelia Barbui

 

Reale: un enigma della natura che ha sempre suscitato nell’uomo il desiderio di toccarlo – si pensi all’arcobaleno -, di definirlo, di dargli senso, di giustificarlo – come frutto di un disegno superiore -, di prenderlo nelle reti del simbolico, attribuendogli un sapere, di controllarlo – usando come strumenti: le religioni, la magia (della cui efficacia parla L. Strauss a proposito della cura sciamanica, in cui un mostro, un’entità che non esiste, è convocato e posto come causa della malattia),  la scienza (in cui, al contrario, non basta comunicare che il batterio, che esiste, è la causa della malattia per avere guarigione). E c’è anche il desiderio di immaginarlo e, tenendo conto di quanto Lacan dice nella lezione del 9 maggio 78 del Séminaire XXV Le moment de conclure: “Non c’è nulla di più difficile che immaginare il reale”  in quanto nella faglia tra immaginario e reale si colloca la nostra inibizione a immaginare come si comportano gli oggetti che sanno, legittimamente, come comportarsi.

 

Immaginare il reale come, ad esempio, attraverso gli oggetti frattali, frutto di equazioni complesse, messe a punto per approcciare la scabrosa irregolarità del caos, oggetti che ci consentono di immaginarizzare il reale, mostrandoci come un tracciato prenda corpo, mettendo in crisi ciò che si dava per scontato, per appurato, per suffragato da leggi note.

I frattali sono ibridi tra due elementi noti che infrangono l’ordine consueto, e che, nel loro prendere forma sullo schermo del computer, ci mostrano l’effetto dell’iterazione di un tratto singolare e, al tempo stesso, il vuoto irriducibile intorno a cui si addensano le loro meravigliose immagini.

Tra il punto e la linea, tra la linea e il piano, tra il piano e il volume, tra un uomo e una donna, si incontra una singolare risposta al reale. Può essere un frattale, una struttura dissipativa, un amore liquido, un godimento di cui non si può dire, ma “solo” constatare che c’è.

 

Qualcosa sfugge, non lo si conosce, il suo manifestarsi è imprevedibile - come una donna! -.

Tutto ciò che si può fare è cercare di “saperci fare”, cercare di sapere, in qualche modo, come usarlo o tenerlo sotto controllo, ma restando in guardia perché il reale resta selvaggio.

Non c’è un sapere o una teoria cui ancorarci. Occorre sapersela sbrogliare, con uno spirito empirico – come ricorda J.-A. Miller nella teoria del partner[1] - più che sistematico, ciascuno a proprio modo, sotto l’egida della vaghezza, dell’approssimazione, dell’incertezza cui, inutile ricordarlo, Miller fa riferimento quando parla delle psicosi ordinarie[2].

Questo richiamo a uno spirito empirico, mi ha condotto a interrogare la fisica.

 

“L’incertezza della scienza”[3] è il tema di una conferenza tenuta all’Università di Washinton, nel 63, da Richard Feynman, premio Nobel per la fisica nel 65, di cui vi propongo alcune riflessioni che penso possano contribuire al nostro dibattito.

“La scienza è un modo particolare di interagire con il mondo per comprendere come funziona. In questo contesto, “mostrare” significa “verificare”, o “controllare”, ed il famoso detto “L’eccezione conferma la regola” dovrebbe essere cambiato in “L’eccezione verifica la regola” o, meglio “L’eccezione mostra che la regola proposta è sbagliata”. Questo è il principio scientifico.”

– A questo punto potrebbe sembrare che Feynman metta al bando l’eccezione. Non è così, anzi, così prosegue: “Se la natura presenta un’eccezione alla regola ipotizzata dagli scienziati, allora la regola non può essere accettata. Le eccezioni sono importanti di per sé.”

“ Non c’è un’autorità che decida quale idea sia buona e quale no: non abbiamo più bisogno di verità rivelate.

Le leggi sono tentativi umani di estrapolare regole generali dal comportamento della natura.  Per la psicoanalisi vale, o meglio, valeva l’Edipo.

Nel mondo scientifico si dà poca importanza al prestigio o alle motivazioni di chi illustra una certa idea. La si ascolta, e se è un’idea diversa la si prende in considerazione. Occorre inventare sempre nuove idee di cui valutare l’accettabilità. 

Il nostro Scilicet ne è un esempio!

Nella scienza la fantasia ha un posto importante, pur essendo diversa da quella dell’artista. Si cerca di immaginare qualcosa di singolare che a nessuno non è mai venuto in mente, qualcosa che sia in accordo con ogni dettaglio di quanto già si conosce, ma sia diverso. ”

Si tratta dunque di una elucubrazione di sapere sul reale, e ciò ci riguarda.

Non c’è niente di cui lo scienziato posa essere sicuro in partenza.

Come per noi, non c’è garanzia, il soggetto supposto sapere, di fronte al reale, vacilla! 

Lo scienziato – prosegue - può solo fare congetture, tirare ad indovinare: sarebbe poco scientifico non farlo.

Tutta la conoscenza scientifica è incerta; gli scienziati sono abituati a convivere con il dubbio e l’incertezza. Nell’affrontare una nuova situazione occorre lasciare aperta la porta sull’ignoto, ammettere di non sapere per riuscire a trovare le soluzioni.

Un ultimo passaggio in cui riecheggia quanto Miller ci propone nella Conversazione di Antibe quando introduce la logica fuzzy e ci ricorda che noi lavoriamo nel “non è sicuro”. Il “non è sicuro” – dice - è il nostro pane quotidiano, è dove si colloca l’oggetto a.

 

“Quando uno scienziato – scrive Feynman - dice di non sapere la risposta, si rende conto di essere ignorante. Quando dice che ha una vaga idea di quello che potrebbe succedere, è incerto. Quando è abbastanza sicuro e dice “scommetto che andrà così”, ha ancora qualche dubbio. Occorre riconoscere il valore dell’ignoranza e del dubbio in quanto è ciò che ci spinge a guardare in nuove direzioni, verso nuove congetture.

Ciò che oggi chiamo “saperi scientifici” sono un corpo di affermazioni a diversi livelli di incertezza. Alcune sono estremamente incerte, altre quasi sicure, nessuna certa del tutto.

Noi scienziati ci siamo abituati, sappiamo che è possibile vivere senza sapere le risposte.”

“ La scienza avanza solo quando riconosce i propri errori. La validità dei risultati è garantita dal fatto che gli scienziati sono consapevoli di poter sbagliare e quindi rivedono e correggono continuamente le proprie idee.”

In questo Freud e Lacan sono maestri.

 

Il reale della scienza, della fisica, e il reale della psicoanalisi si incontrano almeno su alcuni punti come indica Francisco Paes Barreto nel suo saggio: “Il reale senza legge della scienza” in Papers 6

-       sulla constatazione che il reale sfugge alle maglie della legge

-       che quanto prodotto è una elucubrazione di sapere sul reale.

-       Che non c’è sapere nel reale

-       Che c’è disordine nel reale, che il reale ha smesso di essere immutabile.

 

Diverso è il discorso per quanto riguarda lo scientismo – e per questo vi rinvio alla voce “Scientismo, rovina della scienza” di Judith Miller in Scilicet[4].

Scientismo o, detto altrimenti, per riprendere ancora Feynman, le scienze da cargo cult, “culto dei cargo”. Scienze che seguono i precetti e le forme apparenti dell’indagine scientifica, ma dove manca l’integrità scientifica, vale a dire la volontà di non auto ingannarsi, integrità che va mantenuta anche quando gli enti governativi vi chiedono un parere.

Quando la scienza – ma questo vale anche per la psicoanalisi – entra nel cono di luce dei mass media, la comunicazione globale mostra un’altra faccia: il cortocircuito tra i passi “non sicuri” della ricerca e la “presa diretta” dei media può diventare fatale.

 

Concluderei con le parole di J.-A. Miller: “Il IX congresso dell’AMP sul tema  un reale per il XXI secolo pone la questione di sapere se il discorso dell’analista – che Freud ha iniziato e che Lacan ha formalizzato – può scomparire sotto gli assalti scientisti.” [5]

In Scilicet sono già presenti alcune possibili risposte o strategie.

Come in “Politiche del reale” dove Agnes Aflalo scrive: “In effetti i cromosomi x e y sono conosciuti da tempo. La posta in gioco non è la loro pretesa fragilità, ma che ciascuno deve acconsentire a fare del suo organismo un corpo, un destino. Quali che siano le manipolazioni genetiche, il corpo sessuato resterà enigmatico. ”

O in “Biologia lacaniana” dove Jean Robert Rabanel ci offre questa riflessione: “Di fronte a questo irrompere di sperimentazioni, fortunate o incongrue, la posizione dello psicoanalista non può che essere quella di analizzare ciò che ciascuna sperimentazione insegna sulla difesa contro il reale senza legge e fuori senso. Farsi partner-sintomo dei medici, in tal senso, può essere una delle strade. ”

 

Una nota a margine.

A Pisa, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e l’Università, hanno organizzato una mostra dal titolo “Balle di Scienza” Storie di errori, prima e dopo Galileo.

Nella presentazione leggiamo: “Ci rivolgiamo agli scienziati come esperti e ci fidiamo di ciò che è ‘scientificamente provato’, ma anche gli scienziati sbagliano e guai pensare il contrario. Quando vanno in laboratorio portano con sé convinzioni filosofiche o religiose e le loro assunzioni riguardo alla natura profonda della realtà”.

Oggi ho letto l’intervento di Miquel Bassols, in preparazione del Congresso, dove scrive. “Se c’è una storia della verità è nella misura in cui non c’è storia possibile del reale, ma soltanto la sua istorizzazione, quella propria di ciascuno secondo il rapporto con il transfert e con il desiderio dell’Altro.”

Alla luce di questa riflessione penso che si potrebbe dare come titolo alla mostra, “Balle di scienza” anche: “Istorie del reale”.

 



[1] J.-A. Miller, La teoria del partner, in “La Psicoanalisi”, n 34, Astrolabio 2003

[2] J.-A. Miller, Overture, in “La psicosi ordinaria. La conversazione di Antibe”, Astrolabio 2000

[3] R. P. Feynman, Il senso delle cose, Adelphi 2013

[4] J. Miller, Scientismo, rovina della scienza, in “Un reale per il XXI secolo” Scilicet, Alpes 2014

[5] J.-A. Miller, Presentazione, in “Un reale per il XXI secolo”, cit.